Sentenza n. 206 del 1982
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SENTENZA N. 206

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 376, comma primo, cod. pen. (Ritrattazione) promosso con ordinanza emessa il 13 luglio 1976 dal Pretore di Frosinone, nel procedimento penale a carico di Bencivenga Nello, iscritta al n. 613 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 300 del 10 novembre 1976.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 giugno 1982 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;

udito l'avvocato dello Stato Giorgio Ferri, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza del 13 luglio 1976, emessa nella fase dibattimentale del procedimento penale a carico di Bencivenga Nello, imputato del reato di cui all'art. 372 c.p. per aver deposto il falso innanzi alla Corte d'assise, il pretore di Frosinone, accogliendo l'eccezione della difesa, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 376, primo comma, del codice penale in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Ad avviso del pretore, il più breve termine previsto per la ritrattazione di colui che abbia reso la falsa testimonianza nel corso di un processo penale rispetto a quello del quale può giovarsi chi lo stesso reato abbia commesso dichiarando il falso in una causa civile (art. 376, secondo comma, c.p.) integrerebbe una lesione del principio di uguaglianza e confliggerebbe altresì con l'inviolabile diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione.

2. - L'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta in giudizio per il Presidente del consiglio dei ministri, ha chiesto che la questione venga dichiarata infondata affermando, quanto all'addotta violazione dell'art. 3 Cost., che non possono utilmente equipararsi situazioni che sottendono interessi diversi e concernono procedimenti svolgentisi in termini non coincidenti e, quanto al prospettato contrasto con l'art. 24 Cost., che "le condizioni richieste dalla norma affinché la ritrattazione nel processo penale si risolva nella non punibilità dell'autore del falso attengono alle caratteristiche dell'istituto processuale e non incidono sul diritto di difesa".

 

Considerato in diritto

 

1. - Il pretore di Frosinone dubita della legittimità costituzionale della disposizione di cui all'art. 376, primo comma, del codice penale, laddove é previsto che la ritrattazione della falsa testimonianza resa nel corso di un procedimento penale può utilmente operare solo "prima che la istruzione sia chiusa con sentenza di non doversi procedere, ovvero prima che il dibattimento sia chiuso, o sia rinviato a cagione della falsità", mentre il secondo comma dello stesso art. 376 c.p. stabilisce, invece, che "qualora la falsità sia intervenuta in una causa civile, il colpevole non é punibile se ritratta il falso e manifesta il vero prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva anche se non irrevocabile". Dal raffronto tra le due su riportate norme emergerebbe, ad avviso del giudice a quo, una ingiustificata disparità di trattamento in danno di chi abbia dichiarato il falso in un procedimento penale rispetto a chi lo stesso reato abbia commesso rendendo falsa testimonianza in una causa civile, nel senso che il secondo disporrebbe di maggior tempo del primo per ritrattare utilmente il falso.

2. - La questione é infondata.

Questa Corte é chiamata a giudicare, in primo luogo, se i diversi limiti temporali previsti nella disciplina della ritrattazione risultino ragionevolmente stabiliti ovvero vulnerino il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Ma già con sentenza n. 26 del 1974, pronunciandosi sulla legittimità costituzionale dell'art. 458 c.p.p., essa ha statuito che non si configura alcuna violazione dell'art. 3, p.p., Cost.

Premesso, infatti, che "l'art. 458 c.p.p. rappresenta la proiezione sul piano processuale della disposizione dell'art. 376 c.p.", ha osservato che la regola, secondo cui "la non punibilità della falsa testimonianza é subordinata alla condizione che la ritrattazione avvenga in tempo utile ai fini dell'accertamento dei fatti nel procedimento (che può chiamarsi principale) in cui quella era intervenuta", é ragionevole e "pienamente conforme alla finalità della esimente", in quanto questa é rivolta "a dare soddisfazione all'interesse della giusta definizione del giudizio principale (come pure a quello di chi sia in esso imputato), prima e più che all'interesse del falso testimone ad evitare che la sanzione comminata per il reato ormai posto in essere". Ha soggiunto poi che "la materiale possibilità di ritrattare, con l'efficacia esimente di cui all'art. 376 c.p." entro diversi limiti cronologici "non soltanto non dipende da libera scelta del giudice, ma, soprattutto, é logica conseguenza del grado di rilevanza della falsità sull'esito del giudizio principale".

3. - Con la sopra richiamata sentenza, la Corte ha chiaramente affermato che finalità primaria dell'art. 376 c.p. é quella di favorire l'accertamento della verità, non quella di far ottenere la non punibilità al colpevole del falso. Il giudice a quo non offre alcun argomento inteso ad invalidare la fondatezza della suddetta affermazione. Anzi, ignorando completamente l'interesse della giustizia all'accertamento dei fatti e ponendo, viceversa, in evidenza solo l'interesse del falso testimone all'impunità, inverte implicitamente l'ordine di tali interessi. Ed invero, la denuncia della disparità di trattamento che dalla comparazione tra le due ipotesi di cui all'art. 376 c.p. deriverebbe a chi abbia affermato il falso in un procedimento penale nei confronti di chi lo abbia affermato in una causa civile si risolve in un tipo assolutamente anomalo di doglianza, perché assolutamente incompatibile con la Costituzione, cui assai a torto si fa appello. Quando si censura, come nell'ordinanza de qua, il fatto che il termine preclusivo della ritrattazione sia per il falso testimone più ristretto in un procedimento penale che in un giudizio civile, in sostanza si lamenta che nel primo caso non sia lasciata la scelta del momento della resipiscenza, che equivale alla possibilità di procrastinare impunemente la ritrattazione e, quindi, di influire impunemente sull'indirizzo e sulla durata del procedimento principale. A ben guardare, é proprio questo, che in definitiva si chiede alla Corte - di volere, cioè, equiparare al suddetto scopo un falso testimone ad un altro falso testimone -, prospettandole l'identità delle situazioni in cui entrambi verserebbero.

4. - Ma l'asserita disparità di trattamento non tiene conto, a tacer d'altro, che, pur nella fondamentale unità della funzione giurisdizionale, processo civile e processo penale rappresentano diversità di fini e di struttura. L'uno, esplicandosi nel campo dell'autonomia privata, mira all'accertamento della situazione giuridica delle parti, sulle cui domande, e finché queste vengano mantenute, il giudice provvede; l'altro, esplicandosi nell'esercizio del potere punitivo, mira all'accertamento dell'esistenza del reato e ripudia il principio della disponibilità. In quanto alla diversità di struttura, basti osservare che al giudice civile é preclusa la possibilità - che ha, invece, il giudice penale - di un provvedimento istruttorio che definisca nel merito il giudizio, qual é appunto la sentenza di non doversi procedere. Sembra congruente dedurre da quanto sopra che l'asserita identità di situazioni tra i due falsi testimoni non costituisce un dato irrefutabile. Ed infatti, essendo nel procedimento penale in gioco la libertà personale, può essere maggiore il danno che arreca chi afferma il falso o nega il vero, per cui appare pienamente giustificata l'esigenza di una tempestiva ritrattazione.

5. - Le considerazioni che precedono inducono ad affermare, nella linea della sentenza n. 26 del 1974, che la valutazione della ragionevolezza della diversità dei termini di cui all'art. 376 c.p. va operata in relazione al fine primario della ritrattazione e che, quindi, é infondata la questione di legittimità costituzionale del suddetto articolo in riferimento all'art. 3 Cost.

6. - Circa l'addotta violazione del diritto di difesa, deve ribadirsi quanto già affermato con la più volte citata sentenza n. 26 del 1974: che, cioè, se considerata nel quadro del procedimento principale, la ritrattazione non rientra nel diritto di difesa, essendo manifestazione di un ravvedimento operoso e, come tale, atto personale volontario del falso testimone; mentre nel distinto processo, instaurato immediatamente o promosso - come nel caso di specie - nelle vie ordinarie, quel diritto non risulta comunque menomato, neppure sotto il profilo della difesa tecnica.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 376, primo comma, c.p., laddove prevede che i termini per la ritrattazione della falsa testimonianza resa in un procedimento penale sono diversi e più brevi rispetto a quello posto dal secondo comma dello stesso art. 376 c.p. per la ritrattazione della falsa testimonianza intervenuta in una causa civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal pretore di Frosinone con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 novembre 1982.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 9 dicembre 1982.